Onorevoli Colleghi! - L'invecchiamento della popolazione costituisce una straordinaria trasformazione demografica che da diversi decenni investe i Paesi occidentali e in modo particolare l'Italia, sconvolgendo equilibri millenari.
      Alla situazione odierna, si è giunti certamente grazie ad una migliore qualità della vita ed ai progressi della medicina ma, ancor di più, per effetto della diminuzione, differenziata nel tempo, della mortalità e della fecondità che, storicamente, hanno concorso in maniera diversa nel delineare la dinamica demografica. Se, fino al secolo scorso, le variazioni erano legate soprattutto ad eventi eccezionali e la variabile «regolatrice» era la mortalità - con i suoi ricorrenti e fortissimi picchi dovuti ad epidemie, carestie e guerra - attualmente il «fulcro» delle trasformazioni demografiche è costituito dalla fecondità, il cui trend si sta omologando nei Paesi europei e i cui bassissimi livelli sono da considerare di «allarme» demografico se dovessero ancora prolungarsi nel lungo periodo. Il livello di fecondità ha una importanza cruciale: nel caso del perdurare ai livelli attuali, la percentuale di ultra sessantenni sulla popolazione totale potrebbe passare da un valore del 24,2 per cento nel 2000 ad uno del 46,2 per cento nel 2050.

 

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      Questo incremento deve però fare riflettere sul fatto che l'età che avanza può comportare, oltre al peggioramento delle condizioni di salute, tutta una serie di patologie invalidanti, disabilitanti e degenerative che portano alla non autosufficienza e la dimensione dei bisogni delle persone anziane non autosufficienti ha assunto ormai, all'interno delle società più sviluppate, una valenza tale che rende ogni giorno sempre più indispensabile una risposta; questa, infatti, è una delle grandi sfide con cui si dovranno misurare ormai tutte le società economicamente sviluppate.
      La non autosufficienza in terza età, infatti, non può essere considerata un evento straordinario; al contrario, sempre più diventa un rischio prevedibile con l'età che avanza, perché le condizioni di salute tendono inevitabilmente a peggiorare: malattie invalidanti e degenerative, quali il morbo di Parkinson o di Alzheimer, ed altre patologie similari, debilitano e rendono dipendente un numero crescente di persone. Sempre più l'ultima fase della vita, allora, richiederà con molta probabilità le cure di un assistente domiciliare o di un infermiere, oppure un ricovero, o comunque qualcuno che presti assistenza continua e qualificata.
      Non è pensabile, allora, che questa situazione venga lasciata prevalentemente a carico di quel milione di famiglie italiane che quotidianamente affrontano i complessi e spesso economicamente insostenibili problemi legati alla presenza di una persona anziana non autosufficiente.
      Di fronte, quindi, a bisogni crescenti della popolazione anziana che richiedono un aumento consistente delle risorse da mettere a disposizione, è necessario prevedere una entrata autonoma e straordinaria che finanzi questa necessità e che coinvolga tutti i cittadini che producono reddito nel condividere il rischio della non autosufficienza in età anziana.
      Da qui la necessità di una proposta di legge che preveda l'istituzione di un Fondo nazionale di solidarietà (articoli 1, 2, 4 e 5) finanziato con l'istituzione di un contributo di solidarietà (articolo 3) obbligatorio per tutti i produttori di reddito.
      Come pure appare urgente una riorganizzazione delle strutture territoriali del Servizio sanitario nazionale e, soprattutto, la effettiva realizzazione di quella rete di servizi aperti sul territorio che dovrebbe costituire la più efficace modalità di assistenza globale, facilitando e stimolando tutte le iniziative per consentire la permanenza delle persone non autosufficienti nel proprio domicilio o presso il proprio nucleo familiare (articoli 6 e 7).
 

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